Farmaci fascia C con prescrizione al supermercato. Insorge Federfarma: “Non è un bene di consumo”
“Il farmaco etico va inteso come un sinonimo di professionale, deontologico. Si tratta cioè di un farmaco prescritto dal medico e si distingue dal farmaco da banco che, per la sua natura e dosaggio, è giudicato tanto sicuro da poter essere pubblicizzato e da non aver bisogno di alcuna prescrizione medica -sottolinea Federfarma in una nota – Il farmaco etico nella cui categoria rientrano i farmaci di Fascia C, è un prodotto che necessita di maggiori “attenzioni” da parte di tutti. Di conseguenza parlare di pubblicità e offerte per questa categoria di farmaci è dannoso alla salute pubblica: non si tratta di prenderne di più allo stesso prezzo, ma di prenderne il giusto”. Il farmaco, dunque, per i farmacisti, non è un bene di consumo, ma uno strumento di salute se utilizzato in maniera opportuna.
“La premessa è d’obbligo, perché nella guerra dei numeri che si sta dibattendo per l’ennesima volta sulla ipotetica uscita dei farmaci di Fascia C (con prescrizione medica) dal circuito della farmacia spesso si fa confusione – in mala fede -, assimilandoli a semplici beni di consumo commerciale. Anche se l’Unione Europea si è più volte espressa e l’ultima volta proprio quest’anno, sul mantenimento dei farmaci di Fascia C nel circuito della farmacia – spiega Marco Bacchini, presidente di Federfarma Verona, l’Associazione dei titolari di farmacia -, ormai siamo abituati: ciclicamente si torna ad attaccare questa decisione e spesso lo si fa sparando numeri a caso.
Mentre la storia ci insegna che le liberalizzazioni non hanno mai prodotto vero risparmio, almeno in Italia e decreto Bersani 2007 in testa, sottolineo che i sostenitori dei corner farmaceutici parlano a vanvera quando prevedono 3.000 nuovi luoghi di lavoro in tre anni e 5.000 nuove assunzioni per altrettanti farmacisti qualora si dovessero incrementare le parafarmacie nella GDO. Visto che il consumo di farmaci per la loro natura “etica” di cui parlavamo prima, non deve aumentare è chiaro che allora ci sarebbero 3.000 farmacie che chiudono e 5.000 farmacisti che verrebbero a trovarsi senza stipendio con inquadramento professionale per passare in un ambito meramente commerciale quale è, appunto, la grande distribuzione. I 700 milioni di investimenti presunti si riferiscono inoltre a quei grandi gruppi che schiaccerebbero definitivamente l’attuale e molto efficiente servizio della rete-farmacie italiane. Inoltre è utile sottolineare che le referenze farmaceutiche della grande distribuzione sulle quali alcuni si ostinano a fare rosee previsioni si limitano a 300 (e sono quelle maggiormente pubblicizzate, ovviamente), mentre l’offerta in farmacia raggiunge quota 2.200.
È evidente anche da questi pochi dati che l’interesse è quanto mai mirato al mero profitto tralasciando totalmente il servizio al cittadino e soprattutto quello più debole che nella farmacia sotto casa trova un alleato professionale e un contatto giornaliero. Un’ultima considerazione – conclude Bacchini -. Come mai, se sono tanto “amate” dalla popolazione, alla fine del 2014, le parafarmacie erano poco meno di 3.900 e i corner 320 molto lontano della cifra di 5.500 fatta circolare in questi giorni? Conad ed esempio ha inserito solo 97 corner su un totale di 3.000 punti vendita segno evidente che essi vengono inseriti solo nei megastore dove il fatturato è enorme. Ancora e solo una questione di guadagno a zero servizio»