L’arte di mettere in equilibrio le pietre: balancer sale dalle rive del lago alle vette del Baldo
Bartolo Fracaroli
Si chiamano, dal francese, “Dejà-fait”, già fatte. Sono sculture spontanee, nate così in natura, levigate, modellate, scolpite da ghiacciai e fiumi, erosioni e rotolamenti nei secoli dei secoli. Pietre. Le si trova ovunque, dipende dal gusto estetico di ciascuno prenderle in considerazione per forma e colore, struttura e superfici, sono astrazioni. E’ sconfortante vederle richiamate come rappresentazioni di profili, organi, silhuette umane, come spesso succede. C’è già nel Veronese un signore che ha riempito casa di sassi tondi dell’Adige dalle forme strane, sostenendo che sono opere d’arte di una civiltà fluviale subacquea (!?). E’ c’è stato un assessore alla cultura della Provincia, che in vista di una mostra sull’Adige voleva che il tizio vi figurasse con le sue scoperte. Non se ne fece niente. C’è chi è ispirato ad impilare i sassi “strani”, in precario equilibrio, così diventano “balancer”, piccoli o grandi totem che, inseriti nel paesaggio, danno luogo alla land art, appunto, con effetti anche gradevoli di prospettive, ombre, rapporti plastici.
Reportgarda ne ha dato eco di una realtà sulle spiagge di Cisano, un bosco di pietra che assomma il gioco, la creatività, la bellezza talvolta, col vantaggio dello spietrare il terreno prativo, lasciando spazio all’erba. Sempre meglio di una moda di alcuni anni fa che vedeva in montagna disegnare coi sassi il nome proprio e quello di morose, figli (raramente le consorti). I pastori erano furibondi. Un vero e proprio inquinamento, una modifica ambientale che toglieva spazio alla vegetazione spontanea. Qualcuno lo fece notare sui giornali e la guardia forestale intervenne con qualche verbale.
Questi balancer, invece, pare non disturbino l’ambiente, anzi, a loro modo, lo valorizzino nella creatività degli autori. Ne abbiamo visti di stupendi nel campo naturista di Valemar in Istria. Tutti in equilibrio accurato e senza nessun ritocco a sottolinearne le similitudini, solo un puzzle verticale di pietre acconce. All’origine si chiamavano “ometti”, piccoli accumuli di pietre a piramide, cippi od obelischi informi, che confermavano la via di salita e discesa ad evitare di perdersi o finire sui burroni, preziosi col maltempo (nella nebbia, al buio, se coinvolti nei fortunali), assai diffusi per escursionisti ed alpinisti su tracciati (carrarecce, mulattiere, itinerari complessi ed articolati), qui invece sono stilizzazioni di figure umane – do you remenber lo scultore Alberto Giacometti (1901-1966)? – una sola pietra sull’altra, non cumuli. Ometti tuttora preziosi sui sentieri d’arroccamento.
Sul Baldo, a cima delle Pozzette (m.1732), tra Tratto Spino (1752) e la stazione d’arrivo della seggiovia di malga Prà Alpesina (1467), c’è un altro “villaggio” di balancer, una cittadella di pietra con sassi sormontatesi uno ad uno alti anche oltre il metro e mezzo, suggestivi ma leggermente inquietanti, proprio sul filo di cresta vista lago e vista val d’Adige – i pessimisti pensano subito ad un cimitero israelita, ad una selva di lapidi e monumenti funebri – una statuaria sorprendente, ieratica.
La poca terra fertile del massiccio ne trae vantaggio visto che la moda gli permette di far vegetare la rara flora del Baldo, come un tempo facevano gli alpigiani per ridurre le pietraie a vantaggio delle praterie. Sono solo sculture spontanee effimere, nate per diletto nel tempo libero, forme nello spazio, scacchiere di pietre a sormonto. Che una nevicata, una tempesta di vento, abbatterà.