Occasioni perse e promesse mancate per la valorizzazione del territorio
di Bartolo Fracaroli
Occasioni perse e promesse mancate hanno condannato il Garda-Baldo ad un impoverimento culturale e ambientale. Una breve perlustrazione del territorio per evidenziare l’inestimabile patrimonio.
Peschiera. Fine siecle. Milo Manara non ne poteva più della Maròla, il vecchio barcone a vela, rifoderato in ferro, scarrocciato in porto. Chincarini sindaco lo accettò in dono e non fece nulla. Fu rottamato con la fiamma ossidrica. Era bellissimo, unico sul lago con il San Nicolò e Severo di Bardolino ed il Siòra Veronica di Malcesine.
Lazise. Dal 1962 davanti al porto, a -27 metri, c’è dal 1509 una galea veneziana autoaffondata, scoperta nel 1962 da un’équipe di subacquei del Museo di Storia Naturale di Verona; era salpata dalla Dogana nella guerra contro i lombardi.
Venne ripulita, rilevata, era pronta per il recupero. Luca Sebastiano (sindaco anche allora) promise agli archeologi Salzani e Fozzati l’intervento, era il 1994. E’ ancora là, quel che ne resta perché depredata continuamente.
In località Roaròn al confine con Calmasino, c’è una immensa quercia testimone ultimo della foresta medioevale, proprietà Lamberti. Nessuno se ne cura, un fortunale tre anni fa la capovolge. Solo dopo un anno e mezzo tentano di raddrizzarla e la muniscono di tiranti. E’ ancora là, mutilata, morta.
Bardolino. Ha una vera ‘Da pozzo’ del 500, fra le più belle della Provincia. E’ quella del Franciscus, davanti ad un palazzetto coevo di rara conservazione, con volti a vela e loggiato (murato) a levante. Non è nemmeno citato sui depliant, come non ci sono guide sullo splendido entroterra, in buona parte ancora integro, con chiesette sparse, contrade e antiche fattorie.
Garda. Una serie di stupende urne sepolcrali biconiche preistoriche, trovate negli anni 60 nel borgo, e conservate a Verona non sono nemmeno citate fra le risorse.
Così l’entroterra non valorizzato, e le incisioni rupestri del monte Luppia, come la valle dei Mulini che scende da Costermano, il fiore “Velo da sposa” esclusivo al mondo dei suoi prati aridi; pure mai rimesso a posto il Pal del Vò – magari spiegando che si tratta di una cresta subacquea che divide il lago fino a Sirmione – che troviamo nel bel museo etnografico “in vitro” a lato del municipio, grazie al maestro Bertamè (una vita per i documenti storici), dai più trattato con la sufficienza degli ignoranti.
Torri. A punta Piaghen si può vedere la scarpata ripiena di rifiuti compressi, ricordi del collettore criminale, stile “La terra dei Fuochi”. Ma, prima, a Brancolino, c’è una macigno su di una piattaforma dove i vandali si sono fatti parte diligenza di scalpellare l’epigrafe che ricorda una delle sette vittime del grande fallace impianto degli anni 60-70, un operaio napoletano finito sul fondale, per sempre. Ad Albisano continuano a sorgere villoni pacchiani nei luoghi migliori, dove sorgono le orchidee spontanee più rare.
Brenzone. Il comune col dislivello maggiore del Veronese, 2100 e più metri. Il sindaco vorrebbe una cremagliera nel Baldo più vivo ambientalmente; ha autorizzato una casa-magazzino per la lavorazione delle castagne ad un parente del vicesindaco, un villone a perdere; lascia ristrutturare i rustici più isolati con criteri da incongrue villotte televisionarie, non recupera il barcone da carico Diana – integro a meno 120 davanti al porto dall’aprile 1930 – per il quale si è prodigato lo scopritore Gianni Calafà, cementa gli acciottolati dei sentieri, sogna la seconda gardesana, la nuova seggiovia di Prada come quella del monte Bianco, non conclude per le bombe sull’isola Trimelone (dove si sono già spesi quasi un milione di euro), non salva più Campo ma, intanto, fa tabellare i sentieri (“Le vie dei monti”, magari uno non capisse) con indicazioni appaiate a quelle del Cai che recano mete, quota e distanza pedestre e, le sue, ripetono inutilmente le mete, a pappagallo.
Malcesine. Dopo un progetto di una ciclabile da Torbole a sbalzo sul Garda che ne deturperebbe per sempre l’aspetto, nessuno dà corso alle promesse della funivia per un museo del Baldo alla stazione d’arrivo a Tratto Spino.
Così chi sale non capisce nulla del Baldo, non si “fidelizza” con la montagna e non ha nulla da leggere per capirne qualcosa.
Ed ora, percorriamo anche l’entroterra.
Caprino. Tutta la segnaletica della Comunità Montana è sfasciata e imprecisa, ma se qualcuno propone un corso di sicurezza per chi sale sugli olivi “a gòier” in autunno, si risponde che non è importante. Su tutto il lago quest’anno vi sono morti in 5, di solito erano due-tre.
Rivoli. Il sindaco ha promesso anni fa di acquisire al comune in usucapione la Quercus carenata peseudosuber, di proprietà della scomparsa associazione Pro montibus al confine con Caprino. Gli stanno costruendo sempre più sotto: è stupenda e unica, se muore gli fa un piacere. Nulla di fatto.
Brentino Belluno. Hanno una segnaletica dei sentieri schizofrenica, da malga Orsa vai per Brentino e ti ritrovi, due volte, tabelle che ti indicano lo stesso percorso, ma in senso contrario. C’è chi si è perso, di notte, d’inverno.
Ferrara di Monte Baldo. Qualcuno spieghi perché sul Cerbiolo, nella fustaia del monte delle Erbe ad abete rosso, erano stati autorizzati lavori di diradamento e prelievo degli schianti ed invece, adesso, ci sono immense chiazze perché si è proceduti a taglio raso come si falciasse un prato, eliminando centinaia di alberi per migliaia di metri cubi di pregiato legname poi accatastato al Caval di Novezza. Non preoccupiamoci, non c’è più, ne hanno fatto pallets.